giovedì 26 marzo 2009

Con la scusa della demagogia

Chissà come mai ogni proposta di taglio ai costi della politica viene archiviata dai consiglieri del centrodestra sotto l’etichetta “demagogia”. Allungare la durata (e ridurre le sedute) del consiglio comunale è demagogia, riorganizzare le commissioni è ancora demagogia. Diciamo pure che, come s’è visto in questi anni, con le nostre minoranze si va sempre sul sicuro: qualunque sia la proposta, non è mai quella giusta. A pensar male, viene il sospetto che per il centrodestra l’importante sia non far niente, non cominciare mai e poi addossare la colpa alla maggioranza.
Ne prendo atto, ma non ho alcuna intenzione di farmi scoraggiare. Anche perché sono più che convinto che la proposta di allungare le sedute del consiglio comunale sia la più semplice da tradurre in pratica e anche la più incisiva. Facciamo due conti: se, per approvare il bilancio, anziché dieci sedute da due ore e mezzo ne facciamo cinque da cinque ore il risparmio per le casse comunali è di ben 37 mila 500 euro (37.500 euro di risparmi solo per l’approvazione del bilancio!). E comunque il consiglio comunale lungo non è un mio brevetto esclusivo: è una consuetudine diffusa in tutti i Comuni del nord Italia. Che problema c’è a imitare il comportamento virtuoso dei nostri vicini di casa? Forse i consiglieri di centrodestra temono di non riuscire a tener desta l’attenzione per cinque–sei ore? Io credo che se ce la fanno i ragazzi a scuola, possiamo riuscirci anche noi.
Altre due considerazioni. Suona quanto meno strano sentire la minoranza difendere il numero delle commissioni (“sono sempre state otto”) e tuonare contro l’aumento dei commissari. Suona strano perché proprio tra i banchi della minoranza siedono dei veri recordman, che trovano posto anche in quattro commissioni diverse e dunque percepiscono gettoni di presenza plurimi, oltre naturalmente a quello dovuto per la partecipazione al consiglio comunale. Trovo fuori luogo anche il sarcasmo di Pino Morandini. Certo, lui non si impressiona di fronte a questi poveri tagli, visto che la Regione ha già accantonato per il suo vitalizio da consigliere provinciale una somma assai cospicua…

martedì 17 marzo 2009

L'ostruzionismo è una scelta sbagliata

“Occorre rivedere i regolamenti parlamentari, che non sono adeguati a un governo e a una maggioranza che devono avere tempi certi sull'approvazione delle leggi”. Così, qualche giorno fa, il presidente del Consiglio motivava la sua richiesta di far votare alla Camera dei deputati solo i capigruppo. Che succede invece a Trento? Succede che un consigliere comunale – che, tra parentesi, si riconosce nella stessa maggioranza del premier – non solo paralizza l’aula con atteggiamenti provocatori, ma si esibisce anche in un nuovo sport: quello del “lancio dell’emendamento”.
Tanto la proposta romana quanto l’ottusità dell’ostruzionismo trentino riflettono una concezione della politica che assolutamente non condivido. Se il voto per delega mi pare un’assurdità improponibile, d’altro canto ritengo che una maggioranza democraticamente eletta abbia il dovere di governare. Il dovere, prima ancora che il diritto, perché programmare, scegliere, decidere è il modo migliore per onorare l’impegno che ci siamo assunti con gli elettori. Le minoranze hanno la piena facoltà di esprimere la propria contrarietà ai provvedimenti della maggioranza, ma non quella di svilire e di paralizzare l’aula. Non quella di bloccare ogni decisione senza peraltro prospettare un’alternativa, senza neppure cercare una mediazione, senza tentare di far valere le proprie idee. A tal proposito, è opportuno fare chiarezza: se la linea di condotta dell’opposizione sarà questa anche in futuro, allora sarebbe meglio smetterla di reclamare per la Città di Trento maggiori competenze e ulteriori prerogative. A che servono, se il nostro consiglio comunale è condannato all’immobilismo?
L’emiciclo in cui s’è seduto anche Alcide De Gasperi è stato di rado umiliato come venerdì scorso. Per questo credo che il nuovo consiglio comunale dovrà lavorare fin da subito alla revisione del regolamento d’aula. E’ necessario per più di un motivo: per tutelare la dignità di un’assemblea democraticamente eletta, per preservare il diritto a un’opposizione costruttiva e il dovere della maggioranza di assumersi la responsabilità delle proprie scelte.
Un’ultima annotazione: una seduta del consiglio comunale costa 7.500 euro. Credo che ogni consigliere comunale non dovrebbe dimenticarlo neppure per un attimo, soprattutto in questi momenti di crisi.

giovedì 5 marzo 2009

A Trento non servono le ronde

Possono le “ronde” rendere più sicura la città di Trento? Credo che tutti noi dovremmo porci con onestà questa domanda, evitando il più possibile di ideologizzare l’argomento. Anticipo subito che la mia riposta è negativa, per una serie di motivi che qui proverò a illustrare.
Chi vuole le ronde? Non certo carabinieri e polizia, costretti nei giorni scorsi al superlavoro proprio per scongiurare lo scontro tra ronde rivali (vedi il caso di Padova). Non un ex ministro dell’Interno come Giuseppe Pisanu, che le definisce “milizie un po’ patetiche di partito, o meglio peripateriche, visto che camminano, ma non mi pare che abbiamo risolto molti problemi”. Non i magistrati, che anzi hanno sottolineato come, in alcune zone dell’Italia meridionale, le ronde esistano già: sono quelle della mafia, che controllano un territorio in cui lo Stato è quasi del tutto assente. Insomma, la bocciatura da parte degli addetti ai lavori è unanime. Chi si trova in prima linea tutti i giorni sul fronte della sicurezza dice che i problemi sono altri: il Cocer denuncia che oggi nell’arma dei carabinieri mancano quasi diecimila uomini, mentre un sindacato di polizia fa notare che molte volanti sono ferme in officina perché non ci sono soldi per pagare la manutenzione.
A sentire queste voci, l’impressione che si ha è che ci troviamo di fronte ancora una volta a un depistaggio. Dovremmo parlare di sicurezza e invece ci si accapiglia sulle ronde o, meglio, sui “volontari della sicurezza”, nome tristemente evocativo di quella “milizia volontaria per la sicurezza nazionale” del famigerato Ventennio. Insomma i problemi, invece di risolverli o perlomeno di provare ad affrontarli, li si mette in scena, dando vita a un teatrino di polemiche che serve solo a procurare visibilità al politico di turno, soprattutto in periodo di campagna elettorale. Ma attenzione, questo metodo può essere anche pericoloso, soprattutto quando c’è in ballo un argomento così delicato come il controllo del territorio, una delle poche competenze che non possiamo “esternalizzare”, subappaltare o comunque delegare ad altri.
Di solito, di fronte a queste argomentazioni, i sostenitori delle ronde obiettano: ma i nostri volontari saranno armati solo di telefonino. Bene, ma allora possiamo dire che qualunque cittadino a passeggio per la città è una ronda, chiamata (dal senso civico, non dal proprio credo politico) a segnalare eventuali abusi o a soccorrere chi si trova in difficoltà. L’altra obiezione di solito è questa: ma lo sai che a Milano, e non solo lì, ci sono da anni i City Angels, che funzionano benissimo? E’ vero, ma forse i sostenitori delle ronde non sanno che i City Angels vanno a distribuire cibo e coperte ai senza fissa dimora, agli immigrati e a tutti coloro che vivono sulla strada. Che frequentano le stazioni per portare pasti caldi, che vanno davanti alle scuole per prevenire il bullismo. Se sono queste le ronde, allora almeno si cambi il nome per non ingenerare equivoci: noi li chiamiamo, a seconda dei casi, nonni-vigili, volontari di strada, protezione civile, Caritas…
Concludo: non servono le ronde a Trento. Occorre semmai continuare a lavorare sulla prevenzione e a chiedere sempre e comunque il rispetto della legalità. Occorre rafforzare la collaborazione tra le forze dell’ordine e riqualificare le zone di Trento che sono state “dismesse” non dal Comune, ma dalla rivoluzione che in pochi anni ha cambiato l’economia cittadina. A questo stiamo lavorando, senza trascurare alcuna delle preziose segnalazioni che ci arrivano dai cittadini. Ma senza neppure immaginare che ai cittadini tocchi anche l’incombenza di pattugliare il territorio.

lunedì 2 marzo 2009

Cosa ho capito da queste primarie

Le primarie di domenica non sono state un traguardo, ma l’inizio di un nuovo percorso politico, che dovrà essere partecipato e condiviso. Priorità, strategie e programmi per la prossima campagna elettorale non saranno definiti al chiuso di una stanza, magari con l’aiuto di qualche addetto ai lavori. Insieme alla coalizione che mi sosterrà, mi presenterò ai cittadini con una scelta di metodo ben riassunta da una frase che prendo in prestito da un’email di Maria Rosa, una volontaria che ha lavorato alla mia campagna per le primarie: “Abbandonare la politica delle stanze chiuse partendo dai bisogni e dalla partecipazione delle persone”.
A questo riguardo, abbiamo una grande responsabilità. Chi ha votato alle primarie domenica scorsa ha deciso che a Trento si può ancora aver fiducia nella politica. Ma noi quella fiducia ce la dobbiamo meritare trasformando il centrosinistra autonomista di Trento in un laboratorio, capace di far coesistere culture e appartenenze, di elaborare una visione comune, di fare squadra sui progetti concreti e sulle cose da fare. Qui non si tratta di negare le differenze, ma di fare quello che Barack Obama ha chiesto agli americani: “Celebrare la nostra diversità in tutta la sua complessità e continuare allo stesso tempo a sostenere i nostri legami comuni”. Per questo ogni componente della coalizione che mi sosterrà a maggio sarà decisiva, e non solo dal punto di vista elettorale. Sarà decisiva per la sensibilità che porta in dote, per i temi che metterà al centro del dibattito (siano essi sociali, ambientali, culturali…), per le persone che rappresenta. Non sarà difficile, io credo, trovare una sintesi, se a guidarci sarà la ricerca del bene della nostra comunità.
Ancora due riflessioni. La prima riguarda la crisi drammatica che ha investito anche l’economia trentina. La campagna elettorale non ci può assolutamente far perdere di vista la vita reale, quella di chi non ha più il lavoro, quella di chi si trova in cassa integrazione, quella di chi fatica ad arrivare a fine mese. Dobbiamo intervenire presto e bene, anche perché la nostra autonomia ci garantisce più risorse rispetto al resto d’Italia. E’ proprio nei momenti difficili che la politica deve saper riaffermare il proprio ruolo, che poi è quello di trovare soluzioni, aiutare chi è in difficoltà, individuare vie d’uscita. Il difensore civico Donata Borgonovo Re ha fatto giustamente notare in un’intervista all’Adige che “purtroppo i politici vengono percepiti come persone che usano linguaggi e logiche diverse da quelle dei cittadini e fanno altro invece di occuparsi dei problemi della gente”. Questo è esattamente quello che non siamo e non vogliamo essere. Ma, naturalmente, dovremo dimostrarlo sul campo.
L’altro argomento riguarda i giovani che, com’è stato osservato, alle primarie non hanno certo partecipato in massa. A questo proposito, vorrei citare di nuovo uno dei messaggi che mi sono arrivati nei giorni scorsi, poche righe accorate inviate da un’ex alunna trasferita a Grenoble con il marito. “Facciamo i precari della ricerca, sperando di tornare in Italia, prima o poi”, scrive senza nascondere un po’ di amarezza per come vanno le cose nel Belpaese. Un altro “cervello in fuga”, insomma, che l’Italia ha formato e che poi - non per scelta, ma per necessità - è andato a “produrre” altrove. Proprio i giovani, la loro formazione, il precariato devono essere ai primi posti della nostra agenda politica, perché non possiamo condannare un’intera generazione all’incertezza e al pessimismo. E dobbiamo riuscire anche a far tornare ragazze e ragazzi a spendersi per un’idea, a confrontarsi sul futuro, a passare dall’io al noi, che poi è la vera dimensione della politica. Certo, questi non sono risultati che si ottengono aggiungendo un punto al programma e neppure approvando una delibera. Ma dobbiamo provarci lo stesso, innanzitutto impegnandoci tutti in prima persona per una politica meno cinica e meno autoreferenziale.
Alessandro Andreatta