Le primarie di domenica non sono state un traguardo, ma l’inizio di un nuovo percorso politico, che dovrà essere partecipato e condiviso. Priorità, strategie e programmi per la prossima campagna elettorale non saranno definiti al chiuso di una stanza, magari con l’aiuto di qualche addetto ai lavori. Insieme alla coalizione che mi sosterrà, mi presenterò ai cittadini con una scelta di metodo ben riassunta da una frase che prendo in prestito da un’email di Maria Rosa, una volontaria che ha lavorato alla mia campagna per le primarie: “Abbandonare la politica delle stanze chiuse partendo dai bisogni e dalla partecipazione delle persone”.
A questo riguardo, abbiamo una grande responsabilità. Chi ha votato alle primarie domenica scorsa ha deciso che a Trento si può ancora aver fiducia nella politica. Ma noi quella fiducia ce la dobbiamo meritare trasformando il centrosinistra autonomista di Trento in un laboratorio, capace di far coesistere culture e appartenenze, di elaborare una visione comune, di fare squadra sui progetti concreti e sulle cose da fare. Qui non si tratta di negare le differenze, ma di fare quello che Barack Obama ha chiesto agli americani: “Celebrare la nostra diversità in tutta la sua complessità e continuare allo stesso tempo a sostenere i nostri legami comuni”. Per questo ogni componente della coalizione che mi sosterrà a maggio sarà decisiva, e non solo dal punto di vista elettorale. Sarà decisiva per la sensibilità che porta in dote, per i temi che metterà al centro del dibattito (siano essi sociali, ambientali, culturali…), per le persone che rappresenta. Non sarà difficile, io credo, trovare una sintesi, se a guidarci sarà la ricerca del bene della nostra comunità.
Ancora due riflessioni. La prima riguarda la crisi drammatica che ha investito anche l’economia trentina. La campagna elettorale non ci può assolutamente far perdere di vista la vita reale, quella di chi non ha più il lavoro, quella di chi si trova in cassa integrazione, quella di chi fatica ad arrivare a fine mese. Dobbiamo intervenire presto e bene, anche perché la nostra autonomia ci garantisce più risorse rispetto al resto d’Italia. E’ proprio nei momenti difficili che la politica deve saper riaffermare il proprio ruolo, che poi è quello di trovare soluzioni, aiutare chi è in difficoltà, individuare vie d’uscita. Il difensore civico Donata Borgonovo Re ha fatto giustamente notare in un’intervista all’Adige che “purtroppo i politici vengono percepiti come persone che usano linguaggi e logiche diverse da quelle dei cittadini e fanno altro invece di occuparsi dei problemi della gente”. Questo è esattamente quello che non siamo e non vogliamo essere. Ma, naturalmente, dovremo dimostrarlo sul campo.
L’altro argomento riguarda i giovani che, com’è stato osservato, alle primarie non hanno certo partecipato in massa. A questo proposito, vorrei citare di nuovo uno dei messaggi che mi sono arrivati nei giorni scorsi, poche righe accorate inviate da un’ex alunna trasferita a Grenoble con il marito. “Facciamo i precari della ricerca, sperando di tornare in Italia, prima o poi”, scrive senza nascondere un po’ di amarezza per come vanno le cose nel Belpaese. Un altro “cervello in fuga”, insomma, che l’Italia ha formato e che poi - non per scelta, ma per necessità - è andato a “produrre” altrove. Proprio i giovani, la loro formazione, il precariato devono essere ai primi posti della nostra agenda politica, perché non possiamo condannare un’intera generazione all’incertezza e al pessimismo. E dobbiamo riuscire anche a far tornare ragazze e ragazzi a spendersi per un’idea, a confrontarsi sul futuro, a passare dall’io al noi, che poi è la vera dimensione della politica. Certo, questi non sono risultati che si ottengono aggiungendo un punto al programma e neppure approvando una delibera. Ma dobbiamo provarci lo stesso, innanzitutto impegnandoci tutti in prima persona per una politica meno cinica e meno autoreferenziale.
A questo riguardo, abbiamo una grande responsabilità. Chi ha votato alle primarie domenica scorsa ha deciso che a Trento si può ancora aver fiducia nella politica. Ma noi quella fiducia ce la dobbiamo meritare trasformando il centrosinistra autonomista di Trento in un laboratorio, capace di far coesistere culture e appartenenze, di elaborare una visione comune, di fare squadra sui progetti concreti e sulle cose da fare. Qui non si tratta di negare le differenze, ma di fare quello che Barack Obama ha chiesto agli americani: “Celebrare la nostra diversità in tutta la sua complessità e continuare allo stesso tempo a sostenere i nostri legami comuni”. Per questo ogni componente della coalizione che mi sosterrà a maggio sarà decisiva, e non solo dal punto di vista elettorale. Sarà decisiva per la sensibilità che porta in dote, per i temi che metterà al centro del dibattito (siano essi sociali, ambientali, culturali…), per le persone che rappresenta. Non sarà difficile, io credo, trovare una sintesi, se a guidarci sarà la ricerca del bene della nostra comunità.
Ancora due riflessioni. La prima riguarda la crisi drammatica che ha investito anche l’economia trentina. La campagna elettorale non ci può assolutamente far perdere di vista la vita reale, quella di chi non ha più il lavoro, quella di chi si trova in cassa integrazione, quella di chi fatica ad arrivare a fine mese. Dobbiamo intervenire presto e bene, anche perché la nostra autonomia ci garantisce più risorse rispetto al resto d’Italia. E’ proprio nei momenti difficili che la politica deve saper riaffermare il proprio ruolo, che poi è quello di trovare soluzioni, aiutare chi è in difficoltà, individuare vie d’uscita. Il difensore civico Donata Borgonovo Re ha fatto giustamente notare in un’intervista all’Adige che “purtroppo i politici vengono percepiti come persone che usano linguaggi e logiche diverse da quelle dei cittadini e fanno altro invece di occuparsi dei problemi della gente”. Questo è esattamente quello che non siamo e non vogliamo essere. Ma, naturalmente, dovremo dimostrarlo sul campo.
L’altro argomento riguarda i giovani che, com’è stato osservato, alle primarie non hanno certo partecipato in massa. A questo proposito, vorrei citare di nuovo uno dei messaggi che mi sono arrivati nei giorni scorsi, poche righe accorate inviate da un’ex alunna trasferita a Grenoble con il marito. “Facciamo i precari della ricerca, sperando di tornare in Italia, prima o poi”, scrive senza nascondere un po’ di amarezza per come vanno le cose nel Belpaese. Un altro “cervello in fuga”, insomma, che l’Italia ha formato e che poi - non per scelta, ma per necessità - è andato a “produrre” altrove. Proprio i giovani, la loro formazione, il precariato devono essere ai primi posti della nostra agenda politica, perché non possiamo condannare un’intera generazione all’incertezza e al pessimismo. E dobbiamo riuscire anche a far tornare ragazze e ragazzi a spendersi per un’idea, a confrontarsi sul futuro, a passare dall’io al noi, che poi è la vera dimensione della politica. Certo, questi non sono risultati che si ottengono aggiungendo un punto al programma e neppure approvando una delibera. Ma dobbiamo provarci lo stesso, innanzitutto impegnandoci tutti in prima persona per una politica meno cinica e meno autoreferenziale.
Alessandro Andreatta
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