Possono le “ronde” rendere più sicura la città di Trento? Credo che tutti noi dovremmo porci con onestà questa domanda, evitando il più possibile di ideologizzare l’argomento. Anticipo subito che la mia riposta è negativa, per una serie di motivi che qui proverò a illustrare.
Chi vuole le ronde? Non certo carabinieri e polizia, costretti nei giorni scorsi al superlavoro proprio per scongiurare lo scontro tra ronde rivali (vedi il caso di Padova). Non un ex ministro dell’Interno come Giuseppe Pisanu, che le definisce “milizie un po’ patetiche di partito, o meglio peripateriche, visto che camminano, ma non mi pare che abbiamo risolto molti problemi”. Non i magistrati, che anzi hanno sottolineato come, in alcune zone dell’Italia meridionale, le ronde esistano già: sono quelle della mafia, che controllano un territorio in cui lo Stato è quasi del tutto assente. Insomma, la bocciatura da parte degli addetti ai lavori è unanime. Chi si trova in prima linea tutti i giorni sul fronte della sicurezza dice che i problemi sono altri: il Cocer denuncia che oggi nell’arma dei carabinieri mancano quasi diecimila uomini, mentre un sindacato di polizia fa notare che molte volanti sono ferme in officina perché non ci sono soldi per pagare la manutenzione.
A sentire queste voci, l’impressione che si ha è che ci troviamo di fronte ancora una volta a un depistaggio. Dovremmo parlare di sicurezza e invece ci si accapiglia sulle ronde o, meglio, sui “volontari della sicurezza”, nome tristemente evocativo di quella “milizia volontaria per la sicurezza nazionale” del famigerato Ventennio. Insomma i problemi, invece di risolverli o perlomeno di provare ad affrontarli, li si mette in scena, dando vita a un teatrino di polemiche che serve solo a procurare visibilità al politico di turno, soprattutto in periodo di campagna elettorale. Ma attenzione, questo metodo può essere anche pericoloso, soprattutto quando c’è in ballo un argomento così delicato come il controllo del territorio, una delle poche competenze che non possiamo “esternalizzare”, subappaltare o comunque delegare ad altri.
Di solito, di fronte a queste argomentazioni, i sostenitori delle ronde obiettano: ma i nostri volontari saranno armati solo di telefonino. Bene, ma allora possiamo dire che qualunque cittadino a passeggio per la città è una ronda, chiamata (dal senso civico, non dal proprio credo politico) a segnalare eventuali abusi o a soccorrere chi si trova in difficoltà. L’altra obiezione di solito è questa: ma lo sai che a Milano, e non solo lì, ci sono da anni i City Angels, che funzionano benissimo? E’ vero, ma forse i sostenitori delle ronde non sanno che i City Angels vanno a distribuire cibo e coperte ai senza fissa dimora, agli immigrati e a tutti coloro che vivono sulla strada. Che frequentano le stazioni per portare pasti caldi, che vanno davanti alle scuole per prevenire il bullismo. Se sono queste le ronde, allora almeno si cambi il nome per non ingenerare equivoci: noi li chiamiamo, a seconda dei casi, nonni-vigili, volontari di strada, protezione civile, Caritas…
Concludo: non servono le ronde a Trento. Occorre semmai continuare a lavorare sulla prevenzione e a chiedere sempre e comunque il rispetto della legalità. Occorre rafforzare la collaborazione tra le forze dell’ordine e riqualificare le zone di Trento che sono state “dismesse” non dal Comune, ma dalla rivoluzione che in pochi anni ha cambiato l’economia cittadina. A questo stiamo lavorando, senza trascurare alcuna delle preziose segnalazioni che ci arrivano dai cittadini. Ma senza neppure immaginare che ai cittadini tocchi anche l’incombenza di pattugliare il territorio.
Chi vuole le ronde? Non certo carabinieri e polizia, costretti nei giorni scorsi al superlavoro proprio per scongiurare lo scontro tra ronde rivali (vedi il caso di Padova). Non un ex ministro dell’Interno come Giuseppe Pisanu, che le definisce “milizie un po’ patetiche di partito, o meglio peripateriche, visto che camminano, ma non mi pare che abbiamo risolto molti problemi”. Non i magistrati, che anzi hanno sottolineato come, in alcune zone dell’Italia meridionale, le ronde esistano già: sono quelle della mafia, che controllano un territorio in cui lo Stato è quasi del tutto assente. Insomma, la bocciatura da parte degli addetti ai lavori è unanime. Chi si trova in prima linea tutti i giorni sul fronte della sicurezza dice che i problemi sono altri: il Cocer denuncia che oggi nell’arma dei carabinieri mancano quasi diecimila uomini, mentre un sindacato di polizia fa notare che molte volanti sono ferme in officina perché non ci sono soldi per pagare la manutenzione.
A sentire queste voci, l’impressione che si ha è che ci troviamo di fronte ancora una volta a un depistaggio. Dovremmo parlare di sicurezza e invece ci si accapiglia sulle ronde o, meglio, sui “volontari della sicurezza”, nome tristemente evocativo di quella “milizia volontaria per la sicurezza nazionale” del famigerato Ventennio. Insomma i problemi, invece di risolverli o perlomeno di provare ad affrontarli, li si mette in scena, dando vita a un teatrino di polemiche che serve solo a procurare visibilità al politico di turno, soprattutto in periodo di campagna elettorale. Ma attenzione, questo metodo può essere anche pericoloso, soprattutto quando c’è in ballo un argomento così delicato come il controllo del territorio, una delle poche competenze che non possiamo “esternalizzare”, subappaltare o comunque delegare ad altri.
Di solito, di fronte a queste argomentazioni, i sostenitori delle ronde obiettano: ma i nostri volontari saranno armati solo di telefonino. Bene, ma allora possiamo dire che qualunque cittadino a passeggio per la città è una ronda, chiamata (dal senso civico, non dal proprio credo politico) a segnalare eventuali abusi o a soccorrere chi si trova in difficoltà. L’altra obiezione di solito è questa: ma lo sai che a Milano, e non solo lì, ci sono da anni i City Angels, che funzionano benissimo? E’ vero, ma forse i sostenitori delle ronde non sanno che i City Angels vanno a distribuire cibo e coperte ai senza fissa dimora, agli immigrati e a tutti coloro che vivono sulla strada. Che frequentano le stazioni per portare pasti caldi, che vanno davanti alle scuole per prevenire il bullismo. Se sono queste le ronde, allora almeno si cambi il nome per non ingenerare equivoci: noi li chiamiamo, a seconda dei casi, nonni-vigili, volontari di strada, protezione civile, Caritas…
Concludo: non servono le ronde a Trento. Occorre semmai continuare a lavorare sulla prevenzione e a chiedere sempre e comunque il rispetto della legalità. Occorre rafforzare la collaborazione tra le forze dell’ordine e riqualificare le zone di Trento che sono state “dismesse” non dal Comune, ma dalla rivoluzione che in pochi anni ha cambiato l’economia cittadina. A questo stiamo lavorando, senza trascurare alcuna delle preziose segnalazioni che ci arrivano dai cittadini. Ma senza neppure immaginare che ai cittadini tocchi anche l’incombenza di pattugliare il territorio.
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